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Direttore Dipartimento Tecnologie di Generazione e Materiali

“È opportuna una riflessione sull’attuale visione, solo elettrica, delle CER, e chiedersi se questa sia l’unica dimensione possibile, fermo restando che favorire la sola produzione di energia elettrica rinnovabile e la sua condivisione in un gruppo di utenti situati in un ristretto perimetro fisico ed elettrico già di per sé porta a realizzare importanti benefici energetici, ambientali ed economici.

La riflessione che si vuole proporre riguarda in particolare il calore, per una serie di ragioni. Anzitutto, la dimensione locale (raggio di pochi km, conseguente alla regola di coinvolgere solo utenti connessi alla stessa cabina primaria), che contraddistingue le CER elettriche, è in pieno accordo con la fattibilità tecnica ed economica di una rete del calore, al fine di contenere i costi di investimento e di mantenere le perdite di calore e gli oneri di pompaggio entro limiti ragionevoli. In secondo luogo, la produzione combinata di calore ed energia elettrica è l’unico modo efficiente di utilizzare le biomasse, e non dare sostegno allo sviluppo di reti del calore corrisponde di fatto ad una forte limitazione, se non all’impossibilità di utilizzare questa fonte rinnovabile, il che rappresenterebbe un errore, considerando che la biomassa costituisce in molte situazioni una fonte rinnovabile abbondante, che favorisce inoltre il sostentamento e lo sviluppo di una filiera bosco-legno su base locale. Va poi considerato che l’utilizzo di fonti rinnovabili termiche (come la cogenerazione da biomassa e la geotermia a bassa entalpia) è fortemente favorito da una dimensione di comunità, per economie di scala e per la possibilità di realizzare interventi in spazi adeguati, spesso non disponibili su base individuale. Infine, la condivisione anche del calore amplificherebbe la percezione dei benefici economici e ambientali derivanti dalla condivisione dell’energia, favorendo l’adesione degli utenti finali.

Queste considerazioni non rappresentano un’ipotesi di estensione del concetto di CER oltre le indicazioni della Direttiva RED II (Direttiva (UE) 2018/2001), ma intendono invece auspicarne una più completa applicazione, dal momento che all’art. 22 (Comunità di energia rinnovabile) si fa riferimento alla condivisione di energia rinnovabile, in senso ampio.”

Ricercatrice – Dipartimento Sviluppo Sistemi Energetici

“La grande sfida che le comunità energetiche rinnovabili e gli schemi di autoconsumo collettivo, oggi, sono chiamati ad affrontare è quella di definire un processo di innovazione sociale, economica e tecnologica che guidi verso un cambiamento inclusivo, educante e giusto anche nell’interesse di chi verrà dopo di noi.

Un cambiamento che si può rappresentare, innanzitutto, in chiave di riappropriazione dal basso delle risorse energetiche locali, nell’accorciamento della catena di approvvigionamento, e di responsabilizzazione (individuale e collettiva) rispetto alla produzione, alla gestione e al consumo di energia.

Un processo che aspira a essere inclusivo e giusto soprattutto in chiave di tutela delle fasce più deboli della popolazione e del contrasto alla povertà energetica e che apre, anche attraverso nuove forme di familiarizzazione delle tecnologie per la produzione di energia da fonte rinnovabile, alla valorizzazione del territorio e delle sue risorse e all’uso di energia con un maggior legame territoriale.

Un cambiamento che dal punto di vista sociale implica una ridefinizione categoriale profondamente intrecciata nella relazione uomo-macchina che si va sviluppando. Un significante vuoto – il concetto di autoconsumo collettivo – che man mano si riempie di significati e narrazioni tanto variegati quanto sono variegate le condizioni di possibilità nell’organizzazione, e nella governance, delle comunità energetiche rinnovabili ad oggi pensabili.

La transizione, nel quadro delle Comunità Energetiche Rinnovabili, si traduce in una categoria interpretativa multilivello che può incidere profondamente sull’intera catena del sistema.

Possiamo osservare, ad esempio:

  • lato produzione: il passaggio da un sistema energetico centralizzato (grandi centrali) alla generazione distribuita da impianti rinnovabili, diffusi capillarmente, e all’ampliamento della categoria di prosumer anche a quei soggetti che pur non avendo fisicamente un impianto partecipano alla produzione attraverso la comunità;
  • lato gestione: nuove forme di potenziale partecipazione ad un mercato tendenzialmente poco inclusivo che si accompagna, in una dimensione micro, alla condivisione delle scelte per la destinazione dei benefici ottenuti dalla comunità;
  • lato consumo: la promozione di un processo di responsabilizzazione nelle scelte di consumo energetico a partire dalle caratteristiche peculiari delle tecnologie da fonti rinnovabili scelte (così anche qualora fosse previsto l’uso di sistemi di accumulo) e la promozione di comportamenti virtuosi al fine di massimizzare il vantaggio di tutti e tutte, senza lasciare, potenzialmente, indietro nessuno.

Un processo di innovazione sociotecnica che si muove, nella sua versione più spinta, verso nuove forme di coesione sociale e rafforza processi di collettivizzazione delle risorse – in netto contrasto con i processi di individualizzazione spinta che hanno caratterizzato la storia recente.

Un processo anche, e soprattutto, sociale in cui territorio e consumatori possono, e devono, diventare attori fondamentali del cambiamento così come all’ambiente si riconosce – anche attraverso la diffusione delle FER – dignità di portatore di diritto, così come riconosciuto dalle modifiche degli artt. 9 e 41 della nostra Carta costituzionale.”

Power Energia Soc. Coop - Direttore Divisione Think Green

Acero S.r.l - BoD Member

“Parlare oggi di Comunità Energetiche Rinnovabili significa affrontare uno degli argomenti più discussi e dibattuti negli ultimi anni. Sono state oggetto delle definizioni più disparate: nuovi strumenti, opportunità, sfide da cogliere. Ciò che è certo è che hanno fin da subito suscitato interesse e catturato l’attenzione di una molteplicità di soggetti intenti a capirne potenzialità e dinamiche di sviluppo.

Regolatore e legislatore hanno compiuto passaggi fondamentali per introdurre questi meccanismi nel nostro Paese. Un percorso di recepimento che ha fatto -e ancora sta facendo- parecchio discutere, ricco di colpi di scena e di continue novità. Ma è proprio analizzando come è cambiato il contesto di riferimento che dovremmo interrogarci sui reali obiettivi che le Comunità Energetiche Rinnovabili dovrebbero traguardare. Sono senza dubbio un modo alternativo di promuovere la diffusione delle rinnovabili, cercando di tenere in equilibrio i vantaggi elettro-energetici conseguibili con le esigenze dei territori e dei soggetti (utenti finali, imprese, pubbliche amministrazioni) coinvolti in queste iniziative. L’intento è quello di riportare le centrali in prossimità dei centri di consumo e di individuare modelli di sviluppo in grado di creare valore per i territori e le realtà coinvolte. Grazie alle aperture introdotte dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n.199, è ora possibile la partecipazione a queste nuove forme di condivisione energetica con impianti di potenza fino a 1MW, sottesi alla medesima cabina primaria. Conseguenza naturale di questo passaggio è la diversificazione del mix tecnologico degli impianti di generazione posti al servizio della Comunità che potranno essere impiegati, oltre al ben noto fotovoltaico. Ma la novità più dirompente è certamente quella di poter operare per zone di mercato, dando quindi la possibilità di costituire pochi soggetti giuridici che saranno riferimento per tutte le cabine primarie aderenti. Ricordando infatti che l’incentivo è riconosciuto sulla base dell’energia contestualmente prodotta e condivisa dai partecipanti all’iniziativa afferenti alla medesima cabina primaria, la possibilità di centralizzare in un unico soggetto i meccanismi di governance permette di creare strutture più forti con al loro interno competenze e abilità specifiche. Si sta quindi cercando di evitare l’eccessiva polverizzazione e granularità delle iniziative, favorendo invece meccanismi che permettano l’individuazione di percorsi in cui, soggetti con elevate capacità di aggregazione, potranno supportare gli attori locali nell’attivazione, nell’implementazione e nella gestione di questi progetti. Il cambio di paradigma in atto prevede dunque un nuovo approccio, sia strategico che culturale, in base al quale sarà data la possibilità di valutare idee, soluzioni e strumenti frutto di un confronto tra una pluralità di soggetti (ad esempio, pubbliche amministrazioni, PMI, associazioni datoriali, associazioni di categoria, ecc.) con competenze specifiche che potranno generare nuove opportunità e modelli di sviluppo ad alto valore aggiunto e a forte valenza tecnologica e culturale. 

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