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CER e Autoconsumo collettivo: alcune simulazioni numeriche alla luce della nuova regolazione

Introduzione

La possibilità di costituire Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), tramite le quali produrre e consumare energia in ambiti territoriali definiti, generando benefici per gli aderenti all’iniziativa, è da tempo oggetto di interesse in ambito di Ricerca di Sistema da parte di RSE. Mentre la fase sperimentale del recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (quella attuata dall’articolo 42-bis del DL 162/2019 conosciuto anche come “Milleproroghe”) volge al termine, siamo ormai in presenza della nuova regolamentazione, che prende le mosse dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, che dà attuazione alla predetta direttiva, in particolare in materia di CER (articolo 8).

Anche sulla base di precedenti lavori pubblicati da RSE (“RSEview – Le comunità energetiche in Italia[1] e “Community Energy Map” realizzata in collaborazione con LUISS[2]), in cui sono stati studiati i diversi modelli organizzativi secondo cui può essere articolata una CER, è ora possibile proporre qualche elaborazione quantitativa in grado di stimare il beneficio economico conseguibile dai membri di queste iniziative.

Prima di entrare nel merito delle analisi numeriche, è bene ricordare alcune definizioni già introdotte dal DL 162/19, che saranno usate nel prosieguo del lavoro, derivanti dallo schema di condivisione “virtuale” dell’energia vigente nel nostro Paese, riportato nella figura seguente

Di particolare interesse per le elaborazioni seguenti risulta la definizione di energia condivisa, qui presentata graficamente in uno schema di autoconsumo collettivo condominiale, ma valida anche per le CER, considerando il perimetro della cabina primaria. In particolare, essa (Ect) risulta pari al minimo, in ciascun periodo orario t, tra l’energia elettrica prodotta e immessa in rete dagli impianti a fonti rinnovabili (Eit) e l’energia elettrica (Eut1,2,…,n) prelevata dall’insieme delle utenze degli n clienti finali associati nella configurazione:

Per energia immessa (Ei) si intende l’energia immessa in rete dagli impianti FER che alimentano l’iniziativa. Essa coincide con l’energia prodotta al netto dell’autoconsumo fisico, cioè dell’energia consumata (in modo sincrono rispetto alla produzione) sotto lo stesso POD cui è connesso l’impianto di produzione (ad es. i consumi delle utenze comuni condominiali).

Il nuovo quadro legislativo e regolatorio

Il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 – “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili” all’articolo 8 – “Regolamentazione degli incentivi per la condivisione dell’energia” stabilisce che “sono aggiornati i meccanismi di incentivazione per gli impianti a fonti rinnovabili inseriti in configurazioni di autoconsumo collettivo o in comunità energetiche rinnovabili di potenza non superiore a 1 MW”, rispetto agli incentivi già in vigore stabiliti dal decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 16 settembre 2020. Questi ultimi, lo ricordiamo, sono pari a 100 €/MWh sull’energia condivisa in schemi di autoconsumo collettivo e a 110 €/MWh sull’energia condivisa nell’ambito di comunità energetiche rinnovabili, con riferimento alle configurazioni sperimentali abilitate, nelle more del pieno recepimento della direttiva 2018/2001, dall’articolo 42-bis del decreto-legge n. 162/2019; sono quindi caratterizzate da impianti di generazione da fonti rinnovabili di potenza non superiore a 200 kW che condividono energia con utenze connesse alla medesima cabina secondaria.

Il decreto legislativo 199/2021, superando la fase sperimentale, prevede invece l’erogazione di incentivi a configurazioni caratterizzate da impianti di generazione da fonti rinnovabili di potenza non superiore a 1 MW che entrino in esercizio in data successiva a quella di entrata in vigore del decreto stesso (16 dicembre 2021) e che condividano energia con utenze connesse al di sotto della medesima cabina primaria, ampliando quindi significativamente la dimensione potenziale delle configurazioni.

Recentemente è stata resa pubblica una bozza del decreto promosso dal MASE che stabilisce i nuovi meccanismi di incentivazione; nel frattempo, è in corso la notifica alla Commissione Europea, a cui seguirà la finalizzazione del decreto stesso. Gli elementi chiave della bozza di decreto sono di seguito sintetizzati.

I beneficiari degli incentivi sono le «Configurazioni di autoconsumo per la condivisione di energia rinnovabile – CACER» in cui si condivide energia mediante la rete di distribuzione esistente, ossia:

  • l’autoconsumo individuale di energia rinnovabile a distanza, in cui un singolo cliente finale autoconsuma energia tra diversi siti di produzione e di consumo nella propria disponibilità,
  • l’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, realizzato da gruppi di autoconsumatori che operano nell’ambito dello stesso edificio o condominio,
  • le comunità energetiche rinnovabili.

Per tali configurazioni valgono i vincoli di 1 MW e di cabina primaria sopra citati.

Il decreto si applica fino al trentesimo giorno successivo al raggiungimento di un contingente massimo di potenza incentivata pari a 5 GW e comunque non oltre il 31 dicembre 2027.

L’intera energia prodotta e immessa in rete resta nella disponibilità del produttore, che ha facoltà di cederla al GSE mediante Ritiro Dedicato – RID. Sull’energia condivisa mediante la rete di distribuzione sottesa alla medesima cabina primaria si applica una tariffa premio, ossia un incentivo che si aggiunge alla valorizzazione di mercato di tale energia. Tale incentivo rimane fisso per 20 anni a partire dalla data di entrata in esercizio commerciale dell’impianto o della nuova sezione realizzata, nel caso di potenziamento di un impianto esistente. La tariffa incentivante è erogata dal GSE, insieme al corrispettivo relativo ai costi di rete evitati individuato da ARERA con la delibera 727/2022/R/eel, a cui si accennerà nel seguito. Alla copertura dei costi gestionali sostenuti dal GSE si provvede tramite un corrispettivo richiesto ai soggetti ammessi alle tariffe incentivanti. ARERA definisce inoltre le modalità con cui le risorse per l’erogazione delle tariffe incentivanti trovano copertura mediante le componenti tariffarie delle bollette elettriche da essa definite.

Le tariffe incentivanti sono differenziate in funzione della potenza degli impianti a fonti rinnovabili che producono l’energia condivisa. In particolare:

  • Impianti di potenza > 600 kW e ≤ 1 MW

  • Tariffa = 60 + max(0; 180 – Prezzo zonale) con un massimo di 100 €/MWh
  • Impianti di potenza > 200 kW e ≤ 600 kW
    • Tariffa = 70 + max(0; 180 – Prezzo zonale) con un massimo di 110 €/MWh
  • Impianti di potenza ≤ 200 kW
    • Tariffa = 80 + max(0; 180 – Prezzo zonale) con un massimo di 120 €/MWh

Come si può notare, la tariffa è composta da una parte fissa, che a seconda della taglia dell’impianto vale 60, 70 oppure 80 €/MWh, e da una parte variabile che decresce al crescere del prezzo zonale dell’energia, fino ad azzerarsi per un prezzo zonale pari a 180 €/MWh o superiore. Per inciso, il valore di 180 €/MWh corrisponde al tetto ai ricavi degli impianti inframarginali previsto dal regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022 relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia, regolamento tuttavia che, salvo proroghe, scadrà il 30 giugno 2023. In ogni caso, la tariffa non può superare un livello massimo definito in funzione della taglia dell’impianto, pari a 100, 110 o 120 €/MWh. La figura mostra l’andamento della tariffa premio in funzione del prezzo zonale.

Ai valori della tariffa sopra riportati, a compensazione della minore insolazione, si aggiungono 4 €/MWh nel caso di impianti fotovoltaici localizzati nelle regioni del Centro Italia (Lazio, Marche, Toscana, Umbria e Abruzzo) e 10 €/MWh nel caso delle regioni del Nord Italia (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto).

Secondo la bozza di decreto, gli incentivi non si applicano all’energia condivisa generata dagli impianti fotovoltaici che hanno accesso al Superbonus, mentre essi sono cumulabili coneventuali contributi in conto capitale erogati nella misura massima del 40%. In tal caso, però, l’incentivo viene ridotto della medesima percentuale corrispondente al contributo in conto capitale; la riduzione, tuttavia, non si applica all’energia condivisa su punti di prelievo nella titolarità di enti territoriali e autorità locali, enti religiosi, enti del terzo settore e di protezione ambientale.

Un esempio di contributi in conto capitale limitati al 40% è quello previsto dal PNRR per comunità energetiche rinnovabili e schemi di autoconsumo collettivo ubicati in comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, i cui impianti devono entrare in esercizio entro 18 mesi dalla data di presentazione della richiesta e comunque non oltre il 30 giugno 2026. Tale misura prevede la realizzazione di una potenza rinnovabile pari almeno a 2 GW per una produzione di almeno 2500 GWh/anno. La bozza di decreto, ai fini dell’erogazione del contributo PNRR in conto capitale, prevede comunque dei costi di investimento massimi differenziati per taglia di potenza, pari a 1500 €/kW per P ≤ 20 kW, 1200 €/kW per 20 kW < P ≤ 200 kW, 1100 €/kW per 200 kW < P ≤ 600 kW e 1050 €/kW per 600 kW < P ≤ 1 MW.

Per quanto riguarda il quadro regolatorio, quello previsto nella fase sperimentale pre-recepimento della direttiva 2018/2001, formalizzato nella delibera ARERA 318/2020/R/eel, è stato ora aggiornato con la delibera 727/2022/R/eel che costituisce il cosiddetto “Testo Integrato dell’Autoconsumo Diffuso – TIAD”. Tra i diversi aspetti trattati dal TIAD, sono di rilievo i costi di rete che le configurazioni di autoconsumo diffuso consentono di evitare e che a esse devono quindi essere riconosciuti. In particolare, con riferimento all’energia condivisa sotto la medesima cabina primaria, tali costi evitati sono valorizzati:

  • nel caso dell’autoconsumo individuale a distanza e delle comunità energetiche rinnovabili, mediante il valore più alto della componente tariffaria TRASE, attualmente pari a 8,48 €/MWh;
  • nel caso dell’autoconsumo collettivo, mediante la somma:
    • del valore più alto della componente tariffaria TRASE, attualmente pari a 8,48 €/MWh;
    • del valore più alto della componente tariffaria BTAU, attualmente pari a 0,6 €/MWh;
    • della valorizzazione delle perdite evitate, pari al prezzo zonale moltiplicato per il coefficiente:
      • 1,2% nel caso di energia condivisa da impianti di produzione connessi in media tensione;
      • 2,6% nel caso di energia condivisa da impianti di produzione connessi in bassa tensione.

Introduzione ai casi studio

Le analisi condotte nel seguito sono focalizzate su due configurazioni specifiche.

La prima è quella di un condominio di medie dimensioni (18 utenze domestiche, 6 piani fuori terra, superficie del tetto complessiva di circa 300 m2), ben rappresentativa di una situazione media del contesto immobiliare italiano[3]. In questa prima configurazione i condòmini, per poter sfruttare appieno le opportunità date dall’accesso alle detrazioni fiscali (restituzione del 50% dell’investimento in 10 anni grazie al “bonus casa”, cumulabile con gli incentivi), decidono di realizzare in autonomia un impianto fotovoltaico sfruttando le superfici disponibili, per una potenza complessiva di 20 kW di picco. In base a simulazioni effettuate da RSE su profili reali di produzione fotovoltaica e di consumo da parte di utenze condominiali e domestiche, si assume che la produzione dell’impianto venga per il 10% istantaneamente consumata dalle utenze condominiali direttamente connesse all’impianto stesso, mentre del restante 90%, che viene immesso in rete, sia possibile condividerne il 53% da parte dei condòmini. Tale percentuale di autoconsumo, ottenuta senza ricorrere a sistemi di accumulo, può apparire elevata rispetto al tipico autoconsumo “spontaneo” di un’utenza residenziale; peraltro, tale percentuale è ragionevole ove si consideri che la potenza a disposizione di ciascun condòmino è di soli 1,11 kWp ed è in grado di produrre meno della metà del fabbisogno medio di una famiglia italiana.

La seconda configurazione è invece relativa a una CER alimentata da un impianto fotovoltaico da 200 kWp realizzato su tetto, oppure su un terreno improduttivo, su una discarica esaurita, o su un’area industriale dismessa. In questo secondo caso, non vi sono utenze direttamente connesse all’impianto e quindi non è possibile beneficiare dell’autoconsumo fisico. La CER che si va a costituire è composta da 180 utenze, per la maggior parte domestiche, che corrispondono ad abitazioni poste all’interno del perimetro della medesima cabina primaria a cui è connesso l’impianto. In questa configurazione, è stata considerata una (pur ridotta) presenza di PMI, utenze del terziario o pubbliche amministrazioni, che portano a migliorare la percentuale di condivisione dell’energia oggetto di valorizzazione e di incentivazione. In conseguenza, si è ipotizzata una quota di energia condivisa pari al 60% della produzione.

Rispetto a questa configurazione, si è deciso di analizzare tre possibili modelli di costituzione e di esercizio della CER:

  • un primo modello, finanziato con mezzi propri dai membri, in cui tutti i proventi derivanti dalla vendita dell’energia e dall’incentivazione restano ai membri stessi; in questo caso si valuterà anche una variante in cui l’investimento viene realizzato ricorrendo a un finanziamento bancario (diversi istituti di credito hanno iniziato o stanno iniziando a strutturare prodotti specifici per supportare la costituzione delle CER);
  • un secondo modello, in cui l’impianto da 200 kWp è finanziato da un soggetto terzo (per esempio una ESCo), nel quale si andrà a individuare se, nella ripartizione dei benefici economici, vi sia un punto di equilibrio che renda interessante il ritorno dell’investimento del soggetto terzo e allo stesso tempo permetta un significativo beneficio economico anche per i consumatori coinvolti, i quali contribuiscono a generare l’incentivo e mettono a disposizione le aree dove realizzare l’impianto;
  • il terzo e ultimo caso valuterà la sostenibilità di un’iniziativa in cui l’impianto venga finanziato da un Comune con meno di 5.000 abitanti, ricorrendo ai fondi del PNRR per il 40% del costo di investimento iniziale e per la restante parte avvalendosi di fondi propri o accedendo a soluzioni di debito. In questo ultimo caso, le utenze in prevalenza domestiche saranno selezionate sulla base di possibili difficoltà economiche di accesso all’energia, in modo da impiegare risorse pubbliche per contrastare situazioni di povertà energetica.

Per quanto attiene ai costi di investimento degli impianti, si sono presi a riferimento i valori massimi differenziati per taglia di potenza citati in precedenza, definiti dalla bozza di decreto in relazione al contributo PNRR in conto capitale.

In tutti i casi, come mostrato nella figura seguente, si inoltre è assunto un graduale (e forse ottimistico) ritorno ai livelli pre-crisi del prezzo zonale dell’energia elettrica. Tale assunzione, molto positiva per l’economia in generale, rappresenta invece il caso peggiore per la redditività degli investimenti negli schemi collettivi di cui qui si tratta, considerando in particolare la minore valorizzazione dell’energia immessa in rete e non condivisa.

Si è deciso infine di non approfondire la sostenibilità di iniziative che prevedono la realizzazione di impianti di taglia maggiore, dal momento che queste richiedono investimenti consistenti e schemi organizzativi che è più difficile standardizzare, o simulare con modelli numerici, in questa fase. Al contrario crediamo che, almeno dal punto di vista della remunerazione e del ritorno degli investimenti, le soluzioni presentate nel seguito potranno essere facilmente replicate su larga scala, almeno in questa prima fase di avvio delle CER secondo i vincoli del d.lgs. 199/2021.

Caso 1: Autoconsumo collettivo in condominio di medie dimensioni

Il primo caso studio che si intende analizzare, come detto, è quello di un condominio di medie dimensioni composto da 18 utenze domestiche, in cui i condòmini decidono di realizzare in autonomia l’investimento per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico da 20 kW di picco. Il condominio si assume localizzato nel Centro Italia, e quindi ha diritto all’extra-incentivo di 4 €/MWh sull’energia condivisa.

I condòmini designano l’amministratore di condominio come soggetto referente nei confronti del GSE per l’accreditamento dello schema di autoconsumo collettivo e per la successiva ripartizione dei proventi all’interno dello schema. In questo caso studio, i costi di gestione vanno semplicemente a sommarsi alle tradizionali spese condominiali. Per il riparto dei proventi derivanti dall’esercizio dello schema si prevede un costo gestionale extra di circa 40 € all’anno per ogni utenza coinvolta.

Per quel che concerne la configurazione elettrica, l’impianto è connesso al POD delle utenze condominiali. Tale connessione, in base alle ipotesi adottate, consente un autoconsumo fisico pari al 10% della produzione, determinando un minore prelievo di energia dalla rete per le utenze comuni, con una riduzione della relativa spesa (comprensiva di tutte le componenti variabili della bolletta: prezzo dell’energia, oneri di rete, oneri di sistema, accise e IVA). Ciò determina un primo vantaggio per i condòmini.

Per la valutazione della profittabilità dell’intervento sono stati poi considerati i seguenti parametri:

  • le utenze domestiche, per le quali è stato adottato il medesimo profilo di consumo giornaliero, consumano 2.187 kWh all’anno (valore medio nazionale per le utenze domestiche residenti pubblicato da ARERA);
  • a partire da questo profilo, considerando anche il 10% di autoconsumo fisico di cui sopra, è possibile ottenere una percentuale di energia condivisa e autoconsumata ai fini della valorizzazione e dell’incentivazione pari al 52,9% del totale dell’energia immessa in rete;
  • i costi di investimento, pari a 1.500 €/kWp, ammontano complessivamente a 30.000 €, che equivalgono a poco più di 1.650 € per ciascuna utenza domestica coinvolta nello schema. Per questi costi si ipotizza l’accesso alle detrazioni del 50% del “bonus casa” per i primi 10 anni;
  • i costi annuali per la gestione dell’impianto e dello schema ammontano a circa 1.300 € all’anno, con i quali è possibile provvedere (oltre al riparto dei benefici) anche al pagamento delle spese amministrative, alla manutenzione e all’assicurazione dell’impianto; l’incidenza di questi costi sulla singola utenza è di circa 70 € all’anno;
  • con una producibilità ipotizzata di circa 1.250 ore equivalenti e una perdita di producibilità dello 0,4% annuo per i pannelli, l’attivazione dello schema consente di:
    • ridurre il prelievo dalla rete di 2,5 MWh all’anno di energia per le utenze comuni;
    • ottenere un’immissione in rete media annua di circa 21,6 MWh sui 20 anni del periodo di incentivazione e una media di energia condivisa oggetto di incentivazione di 11,4 MWh annui.

Come riportato nel grafico, un investimento di questo tipo consente un rientro tra il sesto e il settimo anno di esercizio dello schema.

Dal punto di vista del singolo condomino, è possibile inoltre affermare che, a fronte di un investimento iniziale di circa 1.650 €, si hanno:

  • una riduzione delle spese per le utenze condominiali in media di circa 30 € all’anno (circa 600 €/anno per il condominio nel suo complesso, risparmi che proseguiranno anche oltre il termine del periodo di incentivazione),
  • un risparmio di circa il 45% delle componenti variabili della bolletta elettrica (accise e IVA incluse);
  • un guadagno di circa 1.800 € alla fine dei 20 anni, calcolato come differenza tra
    • la somma dei ricavi netti (vendita di energia + incentivo + costi evitati di rete + detrazioni fiscali – costi operativi) per i 20 anni considerati, pari a circa 3.450 €, e
    • l’investimento iniziale.

Se, invece, si considerasse come base di confronto la sola componente energia della bolletta (IVA inclusa), essa risulterebbe praticamente azzerata. Come ben visibile in figura, il vantaggio economico appare più consistente nei primi 10 anni, grazie al contributo delle detrazioni fiscali.

Un’alternativa allo schema considerato, in cui i condòmini finanziano autonomamente l’iniziativa, è il caso in cui essi non intendano impegnare una propria disponibilità economica per effettuare l’investimento iniziale. Al riguardo di seguito viene presentata una seconda ipotesi che prevede il ricorso a un finanziamento bancario per il 70% dell’importo complessivo legato alla realizzazione dell’impianto.

Ipotizzando un tasso di interesse applicato del 5% e la restituzione del capitale in 10 anni, ogni condòmino si troverebbe a partecipare all’investimento iniziale con soli 500 €, ricavando nell’arco dei 20 anni circa 1.950 €, guadagnando quindi circa 1.450 €. In tal caso, il risparmio sulle componenti variabili della bolletta (accise e IVA incluse) sarebbe ovviamente più modesto, pari a circa il 26%, dal momento che parte dei benefici andrebbero al servizio del debito. Il risparmio sulla sola componente energia della bolletta (IVA inclusa) sarebbe pari a circa il 54%.

In entrambi i casi è comunque possibile affermare che la realizzazione dello schema di autoconsumo collettivo risulta decisamente sostenibile dal punto di vista economico e finanziario e attraente in termini di benefici per i partecipanti.

Caso 2: CER con impianto da 200 kWp, finanziata dagli utenti

La seconda situazione, come già accennato, è rappresentata da una CER che si doti di un impianto fotovoltaico da 200 kW di picco, installato su tetto, oppure su un terreno improduttivo, su una discarica esaurita, o su un’area industriale dismessa, sempre secondo il modello di business descritto per l’impianto condominiale, in cui sono gli utenti stessi a farsi carico dell’investimento. La taglia di 200 kWp è stata scelta in modo da sfruttare in discreta misura le economie di scala, rispetto a N impianti monoutente, ma al contempo restando nella fascia di potenza che assicura la tariffa incentivante più elevata. Si è considerato un gruppo di 180 utenti, in quanto un impianto fotovoltaico da 200 kWp al servizio di un tale numero di utenti può soddisfare una quota significativa del loro consumo annuo tipico (come nel Caso 1, 2.187 kWh/anno/nucleo familiare), garantendo comunque un autoconsumo diffuso spontaneo (senza installazione di sistemi di accumulo) dell’energia prodotta piuttosto elevato.

I due casi trattati sono peraltro caratterizzati dallo stesso rapporto tra la potenza dell’impianto fotovoltaico e il numero di utenze coinvolte, il che consente di valutare come impatti sulla redditività dello schema il diverso regime di imposizione (e di detrazione) fiscale.

Le ipotesi assunte per questo caso sono analoghe a quelle del Caso 1, con alcune differenze di seguito riassunte.

  • la producibilità dell’impianto fotovoltaico è stata assunta lievemente più elevata (1.300 ore equivalenti/anno) per tener conto di un potenziale migliore orientamento rispetto alla soluzione condominiale, di una maggiore efficienza in corrente alternata e di una gestione più accurata di un impianto 10 volte più grande;
  • l’impianto di produzione è connesso a un POD dedicato e di conseguenza l’autoconsumo fisico è nullo;
  • è possibile ottenere una percentuale di energia condivisa (ai fini della valorizzazione e dell’incentivazione) pari al 60% del totale dell’energia immessa in rete; tale valore è lievemente più alto rispetto al Caso 1, ipotizzando che in questo caso partecipino alla CER anche alcune PMI, utenze del terziario e della pubblica amministrazione che possono aumentare leggermente i consumi diurni;
  • i costi di investimento specifici sono stati assunti pari a 1.200 €/kWp, significativamente più bassi rispetto al caso da 20 kWp, in virtù delle economie di scala; il costo dell’impianto ammonta complessivamente a 240.000 € che equivalgono a poco più di 1.300 € per ciascuna utenza coinvolta nello schema. Non si applicano in questo caso detrazioni fiscali per persone fisiche; si applica invece l’imposizione fiscale sulla CER come società (IRES e IRAP), e di conseguenza gli ammortamenti fiscali dell’investimento vanno a sottrarsi dal reddito imponibile;
  • i costi annuali per la gestione dell’impianto e dello schema ammontano a circa 9.400 €, con i quali è anche possibile provvedere al pagamento delle spese amministrative, alla manutenzione e all’assicurazione dell’impianto; l’incidenza di questi costi sulla singola utenza è di circa 50 € all’anno.

Con una producibilità di 1.300 ore equivalenti e una perdita di producibilità dello 0,4% annuo per i pannelli, l’attivazione dello schema consente di ottenere un’immissione in rete media annua di circa 250 MWh sui 20 anni di incentivazione, con una media di energia condivisa oggetto di incentivazione pari a 150 MWh annui.

Come riportato nel grafico, un investimento di questo tipo consente un rientro tra il sesto e il settimo anno di esercizio dello schema.

È possibile inoltre affermare che, a fronte di un investimento iniziale di circa 1.330 €, ciascun partecipante, alla fine dei 20 anni, grazie anche agli incentivi ricevuti avrà ottenuto un ricavo di circa 3.175 €, ovvero, al netto dell’investimento effettuato, avrà conseguito un guadagno di circa 1.845 €, molto simile a quello relativo al caso condominiale in precedenza analizzato.

Per ciascuna utenza domestica, il risparmio sulle componenti variabili della bolletta (accise e IVA incluse) si attesterebbe su un valore pari a circa il 42%, mentre il risparmio sulla sola componente energia della bolletta (IVA inclusa) sarebbe pari a circa l’84%.

In sostanza, il Caso 2 complessivamente produce vantaggi per ciascun partecipante allo schema molto prossimi al Caso 1[4], come risultato della somma di aspetti più vantaggiosi (economie di scala) e meno vantaggiosi (non applicabilità delle detrazioni fiscali per le persone fisiche).

Caso 3: CER con impianto da 200 kWp, finanziata da un soggetto terzo (ESCo, fornitore di energia)

Il terzo caso, come già accennato, è rappresentato da una CER che si doti di un impianto fotovoltaico da 200 kW di picco, installato su tetto, oppure su un terreno improduttivo, su una discarica esaurita, o su un’area industriale dismessa, ma secondo un diverso modello di business. In questo caso, infatti, si assume che l’iniziativa venga favorita dall’intervento di un soggetto terzo (ad esempio una Energy Service Company, ESCo, o una società fornitrice di energia), che metta a disposizione le proprie competenze tecnico-gestionali, nonché il capitale necessario all’installazione dell’impianto.

Le ipotesi assunte per questo caso sono le stesse del Caso 2, per quanto attiene la parte energetica.

Dal punto di vista della gestione dell’iniziativa, è necessario immaginare una ripartizione dei benefici tra il soggetto terzo e i membri della CER (famiglie, enti o imprese che mettono a disposizione i propri consumi ai fini della condivisione dell’energia) in maniera da conseguire:

  • un ritorno dell’investimento sufficiente per il soggetto terzo e, allo stesso tempo,
  • un significativo beneficio economico per ciascuno dei membri dello schema, i quali partecipano in qualità di consumatori, contribuendo a generare l’incentivo.

In accordo con le simulazioni numeriche svolte, un punto di equilibrio potrebbe essere basato sulle seguenti modalità di ripartizione dei proventi dell’iniziativa:

  • il soggetto terzo trattiene, per consentire il ritorno dell’investimento, l’intero flusso di cassa derivante dalla vendita dell’energia (a mercato, oppure ceduta al GSE tramite RID), nonché il corrispettivo relativo ai costi evitati determinato da ARERA;
  • l’incentivo sull’energia condivisa viene diviso in parti uguali tra il soggetto terzo e i membri della CER.

Seguendo queste modalità, si otterrebbe:

  • un rientro dell’investimento, per il soggetto terzo, in 9 anni (IRR stimabile pari al 6,3%);
  • un beneficio per i membri della CER stimabile in una riduzione del 15% delle componenti variabili della bolletta (accise e IVA incluse) e un risparmio sulla sola componente energia della bolletta (IVA inclusa) pari a circa il 31%.

Si osserva come, dal punto di vista di un soggetto terzo che si fa promotore di una simile iniziativa, oltre alla sostenibilità economica (garantita da un tempo di ritorno di 9 anni, seppur non estremamente attraente per un soggetto industriale), sono da annoverare ulteriori effetti positivi, quali la possibilità di creare un rapporto stabile con nuovi clienti, verso i quali veicolare ulteriori proposte (ad esempio iniziative di efficientamento energetico, vendita dell’energia, ecc.).

Caso 4: CERS con impianto da 200 kWp, finanziata dal Comune con contributo PNRR in conto capitale

Il quarto caso studio fa riferimento a un modello solidale, detto CERS, Comunità Energetica Rinnovabile Solidale[5], con un acronimo mutuato da esperienze già incontrate da RSE e raccontate anche nella già citata pubblicazione “Community Energy Map. Una ricognizione delle prime esperienze di comunità energetiche rinnovabili”.

In questo caso, l’impianto viene finanziato da un Comune con meno di 5.000 abitanti, ricorrendo:

  • ai fondi del PNRR a copertura del 40% del costo di investimento iniziale,
  • a fondi propri per un ulteriore 30% e
  • per il restante 30% accedendo a soluzioni di debito da restituire nei successivi 20 anni, con un tasso di interesse del 5% annuo.

In questa variante, lo scopo precipuo dell’iniziativa è di tipo sociale, con la destinazione del totale dei proventi economici derivanti dall’incentivo e dalla vendita dell’energia a favore di famiglie in povertà energetica; così facendo, si impiegano risorse pubbliche (legate all’incentivazione sull’energia condivisa e al PNRR per il finanziamento dell’asset in conto capitale) per rispondere a bisogni di pubblica utilità. La conseguenza di una simile scelta (necessaria ai fini della simulazione numerica, ma ovviamente non esaustiva delle reali soluzioni che si possono dispiegare nella realtà) è la riduzione del numero di famiglie coinvolte, rispetto ai casi precedenti; da ciò deriva una minore percentuale di energia condivisa dalla complessiva iniziativa.

Le ipotesi assunte per il Caso studio 4 sono riportate solo per differenza rispetto al Caso 2:

  • per rendere significativo il supporto rispetto alle condizioni di povertà energetica, le famiglie coinvolte nella CER sono circa 100[6];
  • l’impianto di produzione è connesso a un POD di un immobile comunale (ad esempio il tetto di una palestra o di una scuola), che garantisce un autoconsumo fisico stimato del 5%;
  • la percentuale di energia condivisa (ai fini della valorizzazione e dell’incentivazione) è pari al 33% del totale dell’energia immessa in rete[7];
  • l’incentivo riconosciuto sull’energia condivisa è ridotto del 40%, dato l’uguale contributo in conto capitale utilizzato per avviare l’iniziativa.

Con una producibilità di 1.300 ore equivalenti e una perdita di producibilità dello 0,4% annuo per i pannelli, l’attivazione dello schema consente di ottenere un’immissione in rete media annua di circa 237 MWh sui 20 anni di incentivazione, con la generazione di energia condivisa a livello di comunità oggetto di incentivazione in media pari 78 MWh annui.

Una iniziativa di questo tipo consente un rientro tra l’ottavo e il nono anno di esercizio dello schema. Dato il disegno complessivo dell’iniziativa, il concetto di rientro dell’investimento si applica solo alla quota del 30% del complessivo capitale impiegato.

Considerata la finalità di questa iniziativa, che impiega risorse pubbliche per rispondere a bisogni sociali del territorio, gli indicatori in precedenza utilizzati non sono i più adeguati a presentare i risultati e i principali impatti. Poiché i proventi economici legati al funzionamento della CER sono destinati a ridurre la spesa energetica delle famiglie coinvolte, è più opportuno osservare i benefici in termini di sollievo delle famiglie interessate rispetto al problema della povertà energetica. Da questo punto di vista, è possibile affermare che una CER così disegnata consente una riduzione media del 34% su 20 anni delle componenti variabili della bolletta elettrica (accise e IVA incluse), riduzione media che sale al 73% se ci si concentra sulla sola componente energia (IVA inclusa).

Il caso CERS appena trattato è stato impostato con la finalità di conseguire una mitigazione significativa per ciascuna delle famiglie coinvolte, che sono state ridotte a 100, rispetto alle 180 ipotizzate nei casi precedenti.

Per rendere pienamente confrontabile il Caso 4 con gli analoghi Casi 2 e 3, è opportuno riportare i risultati che si raggiungerebbero nella soluzione CERS con 180 famiglie coinvolte, a cui conseguirebbe una percentuale di energia condivisa pari al 60%: in tal caso, a fronte di un tempo di rientro (per il Comune) che si ridurrebbe a 6-7 anni, la percentuale di riduzione della bolletta di ciascuna famiglia si attesterebbe al 23% sulle componenti variabili (accise e IVA incluse) e al 49% sulla sola componente energia (IVA inclusa).

Un ulteriore elemento da evidenziare è che il fattore protettivo delle CERS sulle spese per l’energia elettrica dei loro membri risulta più rilevante nel caso di prezzi di mercato dell’energia più elevati (come ad esempio quelli intorno ai 125 €/MWh dei primi anni dello scenario considerato), configurandosi come un meccanismo di tutela qualora nei prossimi anni ci si trovasse nuovamente davanti a situazioni di crisi dei mercati energetici come quella avvenuta a partire dalla fine del 2021 (ripresa dell’economia mondiale nella fase post-Covid e successivo conflitto in Ucraina) e non ancora del tutto rientrata.

Considerazioni conclusive

L’analisi semplificata di alcuni casi, generici ma rappresentativi di numerose situazioni realmente praticabili, mostra che la realizzazione di uno schema di autoconsumo collettivo o di una CER, attraverso l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici, secondo un criterio approssimato di 1,1 kWp per utente residenziale, è economicamente fattibile, applicando il regime di incentivazione previsto dalla bozza di decreto in corso di finalizzazione.

Nei casi in cui sono gli utenti a investire direttamente per realizzare l’impianto, l’investimento presenta un tempo di ritorno compreso fra 6 e 7 anni e il risparmio sulle componenti variabili di acquisto dell’energia elettrica, mediato sulla vita dell’impianto, si colloca fra il 40 e il 50%.

In una diversa ipotesi, si considera che l’investimento venga effettuato da un operatore economico (ESCo, fornitore di energia), esterno rispetto allo schema collettivo. In questo caso, è necessario ipotizzare una ripartizione dei benefici economici fra l’investitore e i membri dello schema: assumendo che l’investitore trattenga l’importo derivante dalla cessione dell’energia immessa in rete e metà dell’incentivo, ottiene per sé un tempo di ritorno accettabile (circa 9 anni), mentre gli utenti beneficiano di un risparmio sulle componenti variabili di acquisto dell’energia (accise e IVA incluse) dell’ordine del 15%, a fronte della sola messa a disposizione dei propri consumi. In questo caso, è utile considerare alcuni benefici per l’operatore economico non direttamente monetizzabili, quali la possibilità di fidelizzare nuovi clienti, verso i quali veicolare ulteriori proposte commerciali (relative ad interventi di efficientamento energetico, vendita dell’energia, ecc.).

Un ultimo caso è quello di un piccolo comune, in cui può essere realizzato l’impianto beneficiando del contributo del 40% in conto capitale previsto dal PNRR. L’iniziativa immaginata in questo caso è indirizzata soprattutto al sostegno degli utenti in situazioni di povertà energetica; pertanto, la valutazione economica deve essere condotta con attenzione alle finalità sociali dell’iniziativa. In particolare, tenendo conto della necessità di recuperare la quota di capitale non coperta dal contributo PNRR, l’iniziativa analizzata risulta in grado di ridurre del 33% le quote variabili della bolletta delle famiglie interessate (la percentuale sale al 69% se si assume come base la sola quota energia).

Le valutazioni di cui sopra sono state condotte sulla base di percentuali di autoconsumo diffuso riscontrate nelle varie attività di ricerca condotte da RSE; tali percentuali potrebbero essere migliorate attraverso una responsabilizzazione dei membri degli schemi collettivi, inducendo comportamenti virtuosi che potrebbero essere premiati da opportune regole di ripartizione dei benefici fra gli utenti.

Per quanto attiene ai costi di investimento, la scelta di utilizzare per i calcoli i valori indicati nella bozza di decreto potrebbe risultare conservativa: specie nel caso di un operatore economico strutturato, lo sfruttamento di acquisti e contratti per quantità significative consentirebbe un rientro più rapido dell’investimento (economie di scala). Analoghi ragionamenti valgono per i costi di gestione delle CER, qualora si immagini di erogare il relativo servizio mediante strutture organizzative in grado di servire gli stessi utenti con più finalità (economie di scopo). Anche sulla base di queste considerazioni, il dispiegamento di interventi più rilevanti (p.e., taglie di impianto FV da 600 kW o da 1 MW), pur non trattato in modo analitico in questo lavoro, risulta più praticabile dal punto di vista economico.

Un ulteriore beneficio, non monetizzabile a priori, delle iniziative studiate, particolarmente valido per il caso della CERS, consiste nell’effetto di tutela dei membri della comunità nel caso di eccessiva volatilità dei prezzi di mercato dell’energia elettrica. Infatti, in simili casi, l’aver sostituito, pur virtualmente, energia prelevata dalla rete (a prezzo di mercato) con energia prodotta localmente da fonti energetiche rinnovabili (a prezzo contenuto e stabile nel tempo) consente ai membri della comunità di contenere le oscillazioni del complessivo costo di approvvigionamento energetico.

Infine, è opportuno osservare un’ultima valenza delle iniziative di autoconsumo di prossimità: realizzare simili iniziative sul territorio, basate su una partecipazione diffusa, con un ridotto impatto ambientale, favorisce, in modo progressivo, l’accettazione dei nuovi impianti a fonti rinnovabili da parte delle comunità locali. È un modo per dimostrare e comprendere come la tecnologia sia la leva principale di cui disponiamo per risolvere le sfide energetiche e ambientali che abbiamo davanti, assicurando il giusto compromesso tra la tutela del paesaggio e la tutela dell’ambiente “anche nell’interesse delle future generazioni”.

 

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[1] Matteo Zulianello, Franco Sala, Guido Coletta, Fabio Armanasco: “Le comunità energetiche in Italia – Note per il coinvolgimento dei cittadini nella transizione energetica”, RSE, Editrice Alkes per collana RSEview, 2021.

[2] Lorenzo de Vidovich, Luca Tricarico, Matteo Zulianello: “Community Energy Map. Una ricognizione delle prime esperienze di comunità energetiche rinnovabili”, RSE – LUISS Business School, Franco Angeli, 2021.

[3] A seconda delle reali condizioni di installazione, solo una quota della superficie del tetto è realmente impiegabile per l’impianto fotovoltaico.

[4] Che, come già evidenziato, è caratterizzato dalla stessa potenza fotovoltaica installata per ciascuna utenza dello schema.

[5] Il termine CERS è stato introdotto per la prima volta da Legambiente per presentare e diffondere l’approccio inclusivo adottato dalla Comunità Energetica Rinnovabile e Solidale di Napoli Est: https://www.comunirinnovabili.it/la-rete-delle-comunita-energetiche-rinnovabili-e-sostenibili/

[6] Immaginando una composizione media delle famiglie di 3 persone, 100 famiglie, rispetto al totale di 5.000 abitanti, corrispondono al 6% (valore coerente con i dati nazionali) del totale delle famiglie residenti nel Comune.

[7] La riduzione del numero di utenze da 180 a 100 e l’assenza di PMI, utenze del terziario e della pubblica amministrazione riducono significativamente la percentuale di energia condivisa rispetto al Caso 2.

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